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Self-Confidence di stato e di tratto nello sport
‹‹Ci saranno degli ostacoli. Ci saranno degli errori. Ma, col duro lavoro […] e la fiducia in te stesso e in quelli che ti stanno attorno, non ci sono limiti.›› Michael Phelps
La fiducia in se stessi (self-confidence) è una conquista tanto importante, quanto fragile, che può essere definita come la credenza di possedere sufficienti risorse interne e abilità per perseguire i propri obiettivi (Vealey & Chase, 2008).
Viene identificata dagli atleti di successo come l’abilità mentale più critica che concorre alla “durezza mentale” (mental toughness), ovvero la capacità di ottenere costantemente buone performance (cognitive e motorie) anche in presenza di pressioni derivanti dalla pratica sportiva che l’atleta deve imparare a gestire per raggiungere prestazioni efficaci.
Nonostante la teoria socio-cognitiva concepisca la fiducia in se stessi come un costrutto generale o globale; l’evidenza empirica suggerisce che dovrebbe essere concettualizzata in modo specifico a seconda del dominio. A questo proposito Vealey (1986), partendo dai costrutti di autoefficacia (Bandura, 1977), di competenza percepita (Harter, 1978) e di aspettativa sulla prestazione (Corbin, 1981) descrive la self-confidence come il bisogno di credere nelle proprie capacità atletiche e individua tre componenti indipendenti che concorrono alla sua definizione: abilità fisiche e allenamento, efficacia cognitiva e livello di resistenza.
Tale concetto è stato poi ulteriormente distinto in due dimensioni:
- Trait – sport – confidence (SC-trait) che riguarda la convinzione che gli individui solitamente possiedono sulle loro capacità di avere successo nello sport;
- State-sport-confidence (SC-state) che è la credenza che gli individui possiedono in un particolare momento sulle loro capacità di avere successo nello sport (Vealey, 1986).
In ambito sportivo il fatto di credere nelle proprie potenzialità è associato alla presa di decisioni strategiche, a un maggior controllo dello stress, alla capacità di gestione dell’errore e alla spinta costante verso il proprio massimale (Vealey & Chase, 2008). Inoltre, la fiducia in sé mobilita le risorse per affrontare l’ansia (Jones & Hanton, 2001; Hanton & Connaughton, 2002; Robazza & Bortoli, 2007), modera i sintomi della rabbia competitiva (Hanton et al., 2003) e facilita il mantenimento del controllo durante la gara. Infine, è correlata a un livello inferiore di ansia agonistica sia prima che dopo la competizione e a prestazioni migliori (Craft, Magyar, Becker e Feltz, 2003).
Gli stessi atleti riconoscono le fluttuazioni della self-confidence come determinanti nel favorire la buona o la cattiva riuscita di una performance sportiva. Coloro che hanno fiducia in sé, infatti, credono di poter acquisire le competenze richieste, sia fisiche che mentali, e di possedere ciò che è necessario per realizzare i propri obiettivi. Al contrario, un atleta con poca fiducia in se stesso dubita di essere abbastanza competente, rimane nella comfort zone e tende costantemente ad aspettarsi che possa accadere qualcosa di negativo. Questo può condurre alla “profezia che si autoavvera”, una trappola psicologica in cui la paura del fallimento facilita la possibilità di incorrere in un reale insuccesso che a sua volta riduce la self-confidence e aumenta l’aspettativa di futuri fallimenti.
La fiducia in sé non è però sufficiente all’interno di un contesto sportivo. Nella psicologia dello sport si individuano, infatti, diversi livelli di confidence al fine di comprendere l’effetto complessivo sull’atleta. Si può distinguere: la fiducia nell’organizzazione (organizational-confidence), nell’allenatore (coach-confidence)¸ nella squadra (team-confidence), nel partner di gioco (partner-confidence) e nel proprio ruolo (role confidence). Ognuna di queste concorre alla capacità dell’atleta di operare in modo interdipendente rispetto ai compagni e contribuisce alla credenza di poter perseguire obiettivi di alto livello.
Anche gli allenatori possono influenzare quotidianamente la fiducia dei loro atleti attraverso il supporto, l’incoraggiamento, la creazione di strategie vincenti, la costruzione di un’atmosfera positiva durante le gare e gli allenamenti e favorendo un atteggiamento costruttivo verso gli errori.
A questo proposito Mia Hamm, leggenda del calcio femminile statunitense, rivela che la self-confidence “non è un interruttore che si accende e che si spegne [..], ma è un problema quotidiano che richiede costante nutrimento”.
Essa, infatti, può essere sviluppata e mantenuta nel tempo attraverso interventi di mental training come l’imagery, il self-talk, strategie di goal-setting e tecniche di rilassamento. Per gli atleti risulta particolarmente funzionale l’integrazione tra questo training mentale con uno fisico. Un esempio pratico proviene da uno studio condotto con giocatori di tennis professionisti (Brewer, 2009). Quest’ultimi sono stati guidati nella definizione degli obiettivi, nell’identificazione dei pensieri negativi e nella costruzione di un dialogo interno positivo. Hanno lavorato poi sull’individuazione dei livelli di arousal ottimali e hanno appreso tecniche di rilassamento e attivazione, come il PMR (rilassamento muscolare progressivo) che si basa sull’alternanza di contrazione e distensione dei muscoli. Infine, hanno sviluppato delle routine individualizzate da utilizzare durante le partite. Alla fine della stagione la self-confidence era aumentata in tutti gli atleti che avevano seguito il programma.
Concludendo possiamo dire che la self-confidence è un costrutto complesso, tanto importante quanto fragile e che è sia causa che conseguenza del successo nello sport. Definire degli obiettivi coerenti con i propri valori, visualizzare ripetutamente ciò che si vuole raggiungere ed esercitarsi costantemente per migliorare la propria performance permetterà di agire in armonia con il vero sé e diventare più confident. Lavorare su di sé lasciando andare i pensieri limitanti permetterà di diventare la versione migliore di se stessi.
‹‹Se non credi in te stesso, nessuno lo farà per te››
(Kobe Bryant)
BIBLIOGRAFIA
Bandura, A. (1977). Self-efficacy: Toward a unifying theory of behavioral change. Psychological Review, 84(2), 191–215
Brewer, B. W. (2009). Handbook of Sports Medicine and Science: Sport Psychology. New Yorck: John Wiley & Sons
Craft, L., Magyar, T. M., Becker, B., & Feltz, D. (2003). The Relationship between the Competitive State Anxiety Inventory-2 and Sport Performance: A Meta-Analysis. Journal of Sport & Exercise Psychology, 25,
Corbin, C. B. (1981). Sex of subject, sex of opponent, and opponent ability as factors affecting self-confidence in a competitive situation. Journal of Sports Psychology, 4, 265-270
Harter, S. (1978). Effectance motivation reconsidered: Toward a developmental model. Human Development, 21(1), 34–64
Hanton, S., & Connaughton, D. (2002). Perceived control of anxiety and its relationship to self-confidence and performance. Research quarterly for exercise and sport, 73(1), 87–97
Hanton, S., Evans, L., & Neil, R. (2003). Hardiness and the competitive trait anxiety response. An International Journal, 16.
Hanton, S., Mellalieu, S., & Hall, R. (2004). Self-confidence and anxiety interpretation: A qualitative investigation. Psychology of Sport and Exercise. 5, 477-495
Jones, G., & Hanton, S. (2001). Pre-competitive feeling states and directional anxiety interpretation. Journal of Sports Sciences, 19, 385-395
Robazza, C., & Bortoli, L. (2007). Perceived impact of anger and anxiety on sporting performance in rugby players. Psychology of Sport and Exercise, 8(6), 875–896
Vealey, R.S. (1986). Conceptualization of sport-confidence and competitive orientation: Preliminary investigation and instrumentation development. Journal of Sport Psychology, 8, 221-246
Vealey, R. S., & Chase, M. A. (2008). Self-confidence in sport. In T. S. Horn (Ed.), Advances in sport psychology (pp. 68–97,430–435). Human Kinetics.
A cura della Dott.ssa Anna Venturini
Dott. Bargnani Alessandro, CEO Psicologi dello Sport Italia