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Il ruolo dell’allenatore nello sviluppo del bambino
“Un buon allenatore farà vedere ai suoi giocatori quello che possono diventare piuttosto che quello che sono”. Questa frase dello storico coach di football americano Ara Raoul Parasheghian, offre un’interpretazione che va al di là dell’ambito prettamente sportivo, il suo significato, infatti, a fronte di recenti ricerche nel campo della psicologia dello sport, può essere esteso alla totalità dell’uomo-atleta.
In tal senso, è stato dimostrato come l’allenatore durante l’età evolutiva, occupi un ruolo chiave nella crescita personale dell’individuo e, in particolare, come questa figura incida in maniera considerevole sul concetto di sé del bambino.
A questo proposito, i ricercatori inglesi Luke Felton e Sophia Jowett dell’università di Loughborough (1) hanno evidenziato come una relazione positiva con l’allenatore, nella quale i bisogni psicologici del giovane atleta vengano soddisfatti, sia correlata in termini statisticamente significativi a valori di autostima più elevati e a minori livelli di ansia. Questi risultati, inoltre, sembrano persistere nel tempo anche negli anni successivi andando a confermare quanto sia influente questa figura nello sviluppo affettivo e cognitivo del bambino.
Per comprendere queste evidenze è necessario inquadrare il rapporto allenatore-bambino come un legame di attaccamento (2) che, in quanto tale, contribuisce alla formazione dei modelli operativi interni con cui l’individuo assimilerà ed elaborerà le successive relazioni interpersonali.
I modelli operativi interni (MOI), nell’accezione descritta da Bowlby, sono l’insieme delle rappresentazioni mentali con le quali interpretiamo noi stessi in rapporto agli altri, sono le categorie cognitive che ci guidano nell’universo relazionale. Avvalendosi di questi schemi mentali, il bambino regola il proprio comportamento, attivando strategie e piani precedentemente immagazzinati che lo facilitano nel predire il comportamento dell’altro e nel fornire risposte più adeguate. Queste rappresentazioni si costruiscono a partire dalle relazioni con i genitori ma, come appurato da diverse ricerche, i rapporti educativi con insegnanti o allenatori possono costituire una rielaborazione dei modelli operativi interni andando a perfezionare il funzionamento adattivo dell’individuo. In tal senso, nello studio sopracitato, ragazzi che presentavano nei confronti della madre uno stile di attaccamento insicuro ambivalente, caratterizzati quindi da un rapporto ansioso con il proprio caregiver di riferimento, hanno fatto registrare un’attenuazione dei livelli di ansia grazie ad una relazione con l’allenatore che soddisfacesse i loro bisogni psicologici.
Un’ulteriore modalità con cui l’allenatore influenza lo sviluppo del bambino è rintracciabile in quello che Bandura definisce “apprendimento per osservazione” (3). Con le sue sperimentazioni, come il famoso esperimento della bambola “Bobo”, lo psicologo canadese ha dimostrato come i bambini, specie nell’età prescolare si identifichino con l’adulto ed apprendano da quest’ultimo molto di più rispetto a quanto l’adulto insegni loro. L’allenatore, in quest’età, viene preso a modello dai suoi allievi in tutti i suoi comportamenti dentro e fuori dal campo.
Ogni allenatore delle giovanili deve, quindi, essere cosciente che dietro la pratica sportiva si celano delle trame affettive e relazionali che contribuiscono alla formazione dell’uomo che verrà, prima ancora che dell’atleta. Ogni feedback dato, ogni incoraggiamento, ogni critica trascende il mero aspetto sportivo agendo sull’idea che ogni bambino si crea di se stesso e con la quale affronterà il cammino della sua vita.
A cura del Dott. Matteo Peccolo
Dott. Bargnani Alessandro Ceo Psicologi dello Sport Italia
Bibliografia:
1. Luke FELTON, Sophia JOWETT, Attachment and well-being: The mediating effects of psychological needs satisfaction within the coacheathlete and parenteathlete relational contexts, Psychology of Sport and Exercise (14) , Loughborough University, 2012.
2. John BOWLBY, Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Milano, Cortina Raffaello, 1989.
3. Albert BANDURA, Autoefficacia. Teoria e applicazioni, Trento, Erickson, 1994.