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EMOZIONI NELLA PERFORMANCE Come le emozioni trasformano i risultati
Dr. Lorenzo Baldassarri; Dr. Andrea Giammaria; Dr.ssa Elena Sgherri
(dal webinar dell’11 gennaio 2021 tenuto per le Academy Nazionali F.I.R.)
Nella vita di tutti i giorni possiamo tranquillamente affermare che le emozioni costituiscono una delle componenti fondamentali della psiche umana: potremmo paragonarle a ciò che dona colore o sapore alle attività stesse dell’esistenza. Le emozioni possono trasformare il vissuto di un medesimo evento da qualcosa di estremamente piacevole a qualcosa di terribilmente angosciante o viceversa; possono rimanere legate ai ricordi passati o essere in grado di condizionare l’umore di una persona per episodi non ancora accaduti.
Assodata tale profonda interconnessione tra emozioni, cognizioni e comportamenti, ovviamente il contesto sportivo non fa eccezione: trattasi infatti di un’area in cui appare assolutamente prioritario approfondire i meccanismi con cui le emozioni migliorano la performance, la peggiorano o permettono allo sportivo di affrontarla in “flow agonistico”.
Prima di addentrarsi in questi processi, è necessario comprendere meglio dove si collocano le emozioni all’interno dell’essere umano.
Secondo il paradigma della Psicologia Funzionale (o Neo-Funzionalismo) è possibile suddividere i piani del Sé dell’individuo in quattro grandi aree di funzionamento: quella cognitiva, quella emotiva, quella corporeo-muscolare e quella fisiologica (Fig.1).
Fig. 1
Queste quattro aree, sempre secondo la teoria Funzionale, sono interconnesse fra loro senza soluzione di continuità: tanto più i quattro piani del Sé procedono all’unisono nella stessa direzione (vedremo successivamente cosa significa), tanto più l’individuo percepirà uno stato di equilibrio e di benessere psico-fisico, che riscontrerà nei suoi comportamenti.
All’interno del Diagramma del Sé, il piano emotivo ricopre una vasta area del funzionamento dell’essere umano: risulta quindi fondamentale analizzarlo per capire quanto possa incidere e determinare, sia in positivo che in negativo, sulla performance in ambito sportivo.
Ma cosa sono le emozioni e da cosa sono composte?
- “Le emozioni sono un processi multicomponenziali, articolati in più elementi. Esse possiedono un decorso temporale e sono attivate da stimoli interni o esterni”.
- “Le componenti che costituiscono le emozioni sono: la valutazione cognitiva (o appraisal) da parte dell’individuo in relazione ad un determinato stimolo emotigeno, l’attivazione fisiologica (o arousal) dell’organismo (ad esempio variazioni nella frequenza cardiaca e respiratoria, sudorazione, pallore, rossore, etc.), le espressioni verbali (e ad esempio il lessico emotivo) e non verbali (espressioni facciali, postura, gesti, etc.)”, (fonte State of Mind – https://www.stateofmind.it/tag/emozioni/).
Già da queste brevi definizioni possiamo cogliere il concetto di “Integrazione del Sé” come raffigurato nel Diagramma del Sé (Fig.1), ovvero come l’essere umano sia, di base, interconnesso attraverso molteplici processi di funzionamento. Questi processi diventano comportamenti espressi nelle proprie attività: dal lavoro allo sport, dagli affetti alle passioni e così via.
E’ importante anche fare chiarezza riguardo alle false credenze relative alle emozioni e per farlo risulta fondamentale anche definire che cosa non sono le emozioni: nella nostra esperienza con gli sportivi, dai più ai meno giovani, il lato emotivo e il suo funzionamento rimangono ancora molto ancorati a stereotipi o a fraintendimenti.
Il termine “Emozioni” viene spesso ed erroneamente utilizzato come sinonimo di “Sentimenti”. Questi ultimi possono essere definiti come un mix appreso di cognizioni ed affetti, rivolti verso noi stessi o verso gli altri. Le emozioni, invece, risultano più istintuali e fisiche e comportano una reazione immediata sui piani cognitivo e corporeo, incidendo sull’immediato comportamento (ad esempio nell’esecuzione del gesto tecnico o nella comunicazione col compagno di squadra, ecc.).
Un altro esempio di bias cognitivo, comunemente riscontrato quando ci troviamo a lavorare con gli sportivi, è riassunto nell’annoverare l’ansia nella lista delle emozioni. L’ansia risulta piuttosto una reazione ad un’emozione ben precisa e coinvolge tutti i piani del Sé; l’emozione coinvolta è ovviamente la paura.
Un ulteriore aspetto molto importante durante il mental training integrato, è quello di lavorare con il soggetto per ottimizzare l’auto percezione dell’esperienza emotiva. Ovviamente in questo breve articolo non esamineremo i profondi processi e i network psico-biologici dei circuiti emozionali, ma prenderemo in prestito dalla Psico-neuro-endocrino-immunologia (PNEI) due brevi postulati che potranno servire come linee guida:
- Le emozioni si muovono tramite vie nervose, vengono elaborate da specifiche aree cerebrali, le quali creano processi decisionali che a loro volta producono comportamenti;
- Percepiamo le emozioni attraverso due vie: una sensoriale veloce, in cui sono attivi principalmente processi fisiologici, neuro-biologici e corporei e una elaborativa lenta in cui partecipano anche gli aspetti cognitivi e riflessivi (Bottaccioli 2005).
Andiamo ora sul campo di gara per esaminare meglio cosa può accadere tramite le nostre emozioni.
Cosa succede sul campo?
Essere consapevoli delle proprie reazioni emotive permette agli atleti di prevenire eventuali stati di ansia o confusione che potrebbero creare loro difficoltà nel raggiungimento della prestazione ottimale. Per far ciò, dato che l’atleta si trova davanti a molteplici situazioni diverse e specifiche (legate al tipo di sport, di ruolo ricoperto, di condizioni di forma fisica, ecc.), risulta fondamentale comprendere e riconoscere le proprie risposte emotive automatiche e, successivamente, impostare un mental training per ottimizzarle in modo performante. Le fasi in cui uno sportivo impara a riconoscere le proprie risposte si ripetono ciclicamente: allenamento, pre-gara, match, post-gara. Avere chiaro questo schema può permettere agli atleti di svolgere preparazioni specifiche, adatte alle caratteristiche di ogni singola fase.
Tornano immediatamente alla memoria storie di grandi atleti, di campioni sportivi che, a seguito di una gestione negativa delle emozioni e delle reazioni conseguenti ad esse, hanno avuto carriere controverse e difficili o hanno perso finali mondiali. Che cosa non ha funzionato in queste situazioni?
- C’è mancanza di consapevolezza rispetto alle proprie sensazioni ed emozioni durante il match, che può portare l’atleta a non utilizzare in modo corretto le proprie energie mentali e fisiche.
- C’è scarsa mobilità delle emozioni (concetto che approfondiremo tra poco), ovvero la capacità di passare velocemente da un’emozione negativa ad una neutra o positiva, così da non rovinare la performance.
Un’altra condizione in cui può diventare difficoltosa la gestione emotiva è quando l’atleta spinge oltre al limite la propria concentrazione o il proprio sforzo fisico: la mente e il corpo si affaticano eccessivamente rendendo più difficile la gestione delle emozioni negative (questo influisce molto anche sul rischio di incorrere in infortuni).
Imparare a riconoscere le emozioni, dare loro il nome corretto, capire come ogni singola emozione influisca sulla performance permette di riconoscere le situazioni a rischio prevenendo gli errori e un abbassamento dell’efficacia, ma anche, contemporaneamente, permette di apprendere strategie reattive positive che aiutino in momenti critici.
In campo esistono evidenti elementi legati all’ambiente e alle circostanze, pertanto diventa fondamentale che le variabili soggettive siano effettivamente gestite dall’atleta, modificate, incrementate o annullate in base alle necessità del momento e questo può avvenire soltanto con un lavoro di mental training ben strutturato (Fig.2).
Tra le richieste più diffuse da parte degli sportivi troviamo la volontà di imparare a gestire la rabbia, soprattutto durante la prestazione.
La rabbia è un’emozione che, se non ben addestrata, può portare molteplici reazioni disfunzionali: un’ esplosività che sfocia in gesti scoordinati e inefficaci; modalità comportamentali aggressive che inficiano la performance oppure verbalizzazioni negative che influiscono sul rendimento del team.
L’allenamento mentale serve anche e soprattutto per allenare la gestione del proprio lato emotivo: le emozioni non vanno eliminate né schiacciate, bensì vanno canalizzate in modo efficace.
La rabbia in particolare può essere incanalata attivamente verso un uso consapevole, trasformandola in determinazione, tenacia e aggressività sportiva per arrivare ad un risultato ottimale e costruttivo.
Avere la piena gestione delle proprie emozioni significa riuscire a costruire un percorso vincente sotto il pieno controllo del soggetto. Ogni match è una gara unica, irripetibile e per tale motivo con un valore personale molto alto, per questo serve un allenamento costante e specifico anche legato alle emozioni, che permetta di ottenere la piena gestione e la piena consapevolezza dell’area emotiva.
L’efficacia del mental training integrato
Abbiamo approfondito come, tra tutti gli aspetti psicologici dello sportivo, l’area emotiva risulti probabilmente quella in grado di avere maggior influenza sulla prestazione e sul risultato.
Prima di approfondire come il mental training integrato possa aiutare a migliorare quest’area, è necessario fare una premessa: dall’esperienza di lavoro maturata negli anni con gli atleti, molto spesso risulta che l’aspettativa riposta in questo tipo di training sia distorta. In fase preliminare di analisi della domanda e definizione degli obiettivi spesso appare evidente un bias nello schema mentale dello sportivo: “allenare” le emozioni sembra essere sinonimo di “controllare” le emozioni. Oltre che utopico questo obiettivo appare, nel nostro inquadramento teorico, poco sensato.
Controllare le emozioni significherebbe reprimerle. Senza addentrarci troppo in meccanismi psicologici profondi, possiamo affermare che, per fare ciò, l’atleta dovrebbe attuare un iper-utilizzo della Funzione cognitiva quale la razionalità (Fig.1 piano cognitivo) e un abbassamento delle sensazioni (Fig.1 piano fisiologico) che gli consentirebbe di non “sentire” l’emozione. Tutto questo comporterebbe un massiccio utilizzo di energie mentali e nervose togliendole conseguentemente dalla propria performance.
Fondamentale diventa perciò questa prima fase, che potremmo definire già il primo step dell’allenamento mentale (ed emotivo): la consapevolezza.
Il mental trainer, nell’avvio della relazione con il suo cliente, lavora sin da subito per far comprendere correttamente come funziona il nostro organismo nelle sue interazioni mente-corpo e per una corretta ridefinizione degli obiettivi: allenare le emozioni non significa controllarle ma gestirle.
L’approccio del mental training integrato all’allenamento delle emozioni nello sportivo comprende due fasi:
- Il lavoro integrato sulla consapevolezza emotiva.
- Il lavoro sulle Funzioni del piano emotivo del Sé: ogni emozione importante per e nella performance avrà un training specifico (es. lavorare sulla gamma (o ampiezza), sulla modularità e sulla mobilità).
È fondamentale premettere che l’aggettivo “integrato”, utilizzato in questi contesti, non si riferisce ad un eclettismo tecnico o ad una integrazione teorica, bensì viene utilizzato con specifico riferimento al concetto di Sé integrato di cui si è parlato ad inizio articolo.
Se iniziamo a lavorare con lo sportivo sulla consapevolezza emotiva, questa va concepita nell’integrazione e nelle connessioni tra tutti i restanti piani del Sé: sia dal punto di vista cognitivo, sia nella sua espressione fisiologica e corporea. Nel primo caso lo sportivo va allenato a visualizzare e consapevolizzare le situazioni sport-specifiche che fungono da trigger per emozioni disfunzionali o, viceversa, per emozioni che agevolano un miglioramento prestazionale.
Nel secondo caso, è necessario un iniziale lavoro che coinvolga l’autoconsapevolezza negli aspetti muscolari, posturali, neurovegetativi e nella fisiologia del respiro: lo sportivo deve imparare a conoscere sé stesso approfonditamente anche attraverso il variare di queste caratteristiche collegate ai diversi stati emotivi.
Muovendosi all’interno di questa cornice di riferimento, è anche possibile rimanere aperti ad una gamma di tecniche o di ausili strumentali che possono essere utilizzati sotto diversi punti di vista: ad esempio maggiormente legate alla specificità della disciplina sportiva o all’evoluzione sempre crescente dell’offerta tecnologica a disposizione.
Una volta consolidato il lavoro sulla consapevolezza emotiva, il passo successivo sarà quello di lavorare sulle singole Funzioni emotive del Sé, (ad esempio la rabbia o la paura) al fine di ottimizzare le loro caratteristiche o di correggere eventuali alterazioni.
A questo proposito la Psicologia Funzionale specifica che le “Funzioni hanno un andamento alternato tra due polarità opposte, un andamento di tipo quasi sinusoidale” e lo spazio che troviamo tra queste due polarità viene definito gamma (o ampiezza) della Funzione. Un sano andamento consente “alla persona […] di avere a disposizione ogni singola gamma […] di emozioni[…]. Più complete e intatte sono le gamme a disposizione dell’individuo, più potenzialità egli ha nella vita. […] I due poli non sono affatto contrapposti: anzi, la piena realizzazione dell’uno aiuta il raggiungimento altrettanto pieno dell’altro. La vita non è affatto nel ‘giusto mezzo’ ma nella possibilità di raggiungere l’intensità sia dell’una che dell’altra posizione, di tutti e due i poli” (Rispoli 2004, 59).
Uno dei primi lavori da effettuare sulle Funzioni è quello del ripristino della gamma (o ampiezza). Una Funzione del piano emotivo che sia bloccata su una polarità, non consentirà allo sportivo di poterla vivere pienamente in quanto sarà cronicamente carente nella polarità opposta. La figura 1 mostra l’andamento nel tempo di una Funzione del piano emotivo (Gioia-Tristezza) perfettamente intatta nella sua ampiezza, mentre la figura 2 mostra la stessa funzione con ampiezza ridotta. Se ipotizziamo una situazione di difficoltà durante una gara, nel secondo caso l’atleta tenderà a vivere in maniera malinconica gli eventi, con poca gioia (che è l’emozione di base per “rimanere positivi”) e facilmente preda dello sconforto, con il conseguente abbassamento della performance e del risultato finale.
L’altra caratteristica delle Funzioni su cui interveniamo è la Modularità. Questa consiste nella capacità della persona di passare da un polo all’altro più volte, in modo continuativo. Essa rappresenta il tempo che si passa in determinate parti della Funzione: “una mancanza di modularità porta ad una preponderanza di una polarità rispetto all’altra (come la figura 2 mostra chiaramente)” (Rispoli 2004, 60-61) e ad una scarsa capacità di adattamento alla variabilità delle situazioni.
Nella Fig. 3 è esemplificato un atleta ipoteticamente insicuro, dove la Funzione emotiva della paura diventa prevalente, con scarsa modularità nell’andare verso un’emotività più coraggiosa e con la conseguenza di non affrontare efficacemente gli eventi durante una performance.
La figura 4 raffigura cosa avviene in caso di scarsa mobilità proprio sulla polarità sconforto-serenità: in questo esempio l’atleta passa molto tempo nella polarità dello sconforto ed il passaggio alla polarità opposta avviene con una discesa di curva lenta ed è facilmente intuibile cosa questo potrebbe comportare durante una performance. La mobilità infine è una caratteristica particolarmente importante per il lavoro con lo sportivo: essa consiste nella capacità di passare rapidamente da un polo all’altro della Funzione a seconda del contesto.
Possiamo quindi comprendere l’importanza di questa caratteristica sia nella fase di preparazione alla gara (ad esempio permettendo all’atleta di rimanere il più possibile nella calma, per poi andare rapidamente determinato e adrenalinico in campo) sia durante la prestazione (ad esempio consentendo una transizione veloce da un’emozione di tristezza per essere andato in svantaggio nel match, al ritrovare la serenità per una corretta prosecuzione).
Conclusioni
Ormai è diventato sempre più evidente (e molti atleti di alto livello ne stanno sempre più comprendendo l’importanza) che allenare gli aspetti mentali (intendendo, come abbiamo spiegato in questo articolo, sia quelli cognitivi che quelli emotivi e corporei) oltre alla tecnica e alla prestazione fisica, sia un aspetto fondamentale per aumentare le proprie performance, ottenere risultati e, soprattutto, mantenerli nel tempo.
In questo articolo abbiamo presentato la nostra visione e una parte del nostro mental training, ma ne esistono altri validi e seri. Vorremmo però mandare un messaggio agli atleti più giovani che sono arrivati alla lettura di questo articolo: affidatevi a persone qualificate che abbiano alle spalle studi scientifici e approfonditi, non cedete al fascino di personaggi non professionali di varia natura che promettono risultati miracolosi a breve termine. Il processo di allenamento mentale è in divenire e, come per quello fisico e tecnico, richiede abnegazione, impegno, determinazione: questo porterà ad essere forti mentalmente e caratterialmente e soprattutto autonomi nell’uso delle capacità mentali.
Bibliografia
Bottaccioli, F. (2005). Psiconeuroendocrinoimmunologia. I fondamenti scientifici delle relazioni mente-corpo. Le basi razionali della medicina integrata. Milano: Red!.
Chiera, M., Barsotti, N., Lanaro, D., & Bottaccioli, F. (2017). La PNEI e il sistema miofasciale: la struttura che connette. Milano: Edra.
Marcantognini, S. (2018). Special Training Method. Manuale operativo per la formazione, l’educazione e la prestazione. Ferriera di Torgiano: Calzetti Mariucci.
Rispoli, L. (2004). Esperienze di base e sviluppo del Sé. L’ evolutiva nella psicoterapia Funzionale. Milano: Franco Angeli.
Rispoli, L. (2014). Il manifesto del funzionalismo moderno. Roma: Alpes Italia.
Sitografia
S.a., (s.d.). La psicologia funzionale (Modello teorico). https://www.psicologiafunzionale.it/sef/psicologia-funzionale-modello-teorico/ [01/09/2020].
https://www.eljos.it/psicologia-del-potenziamento-3/
https://www.stateofmind.it/tag/emozioni/