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Come la fatica mentale influenza la performance.
- 6 maggio 2019
- Posted by: a.perezroldan
- Categoria: Articoli
La fatica mentale come causa di aumento infrazioni e diminuzione qualità di prestazione.
La stanchezza mentale è causata da un lungo e intenso compito cognitivo. Lo stress cognitivo comporta una riduzione della vigilanza che determina un ritardo nel decision making, quindi le decisioni che nello sport devono essere prese in maniera rapida diventano imprecise e lente, e si ha un minor controllo delle risposte inibitorie, il chè potrebbe sfociare in maggiore aggressività e dunque determinare un incremento di infrazioni.
La fatica mentale compromette le performance di endurance attraverso un aumento dello sforzo percepito. Il meccanismo con cui ciò si verifica non è al momento chiaro. Martin e colleghi (2018) propongono che con un’attività cognitiva intensa, l’adenosina cerebrale extracellulare si accumula all’interno delle regioni attive del cervello. L’adenosina è un nucleoside che si presenta naturalmente in tutte le cellule dell’organismo, poiché compone RNA. Inoltre è coinvolta nel trasferimento di energia cellulare formando le molecole come l’adenosintrifosfato (ATP) e l’adenosindifosfato (ADP).
Si ritiene che l’adenosina agisca in due modi:
- aumentando la percezione dello sforzo durante i successivi compiti intensi;
- compromettendo la motivazione o la volontà dell’individuo/atleta di esercitare lo sforzo necessario per portare a termine il compito/gara, probabilmente attraverso un’interazione con la dopamina nella corteccia cingolata anteriore (ACC).
Durante un test di resistenza, sia la percezione dello sforzo che la motivazione possono, chiaramente, influenzare la performance. Quindi qualsiasi manipolazione finalizzata a ridurre l’accumulo di adenosina durante lo sforzo mentale dovrebbe diminuire l’impatto della fatica mentale.
Una regione del cervello in cui le azioni dell’adenosina sono particolarmente importanti nel contesto della fatica mentale è, come accennato in precedenza, la ACC. Questa regione del cervello è coinvolta in processi mentali complessi come l’elaborazione e il controllo emotivo, l’autoregolazione e il monitoraggio, oltre ad apparire importanti nell’elaborazione dello sforzo/ricompensa.
Un dato interessante è che gli effetti della privazione del sonno sulle prestazioni di endurance sono simili a quelli osservati con l’affaticamento mentale. La caffeina è molto simile strutturalmente all’adenosina e può legarsi ai recettori della membrana cellulare per l’adenosina, bloccando così la loro azione. In un contesto di esercizio, l’ingestione di caffeina può ridurre lo sforzo percepito e aumentare la produzione di energia durante gli sforzi ad alta intensità. Lo sforzo percepito è correlato all’attività all’interno di varie regioni della corteccia motoria, tra cui la premotoria e le aree motorie primarie. L’ACC è coinvolta in sforzi di attività sia cognitive che nella percezione di sforzi durante l’esercizio. Indubbiamente la ACC ha un importante ruolo nella fatica mentale, ma non è la sola a comporre il substrato neurale della percezione dello sforzo. Infatti sono coinvolte altre regioni cerebrali, come l’insula.
Una maggiore efficienza neuronale porterebbe a una maggiore conservazione del “combustibile” cerebrale, simile alla conservazione del glicogeno dei muscoli scheletrici, o delle gomme in gare automobilistiche (vedi articolo https://www.psicologidellosport.it/more-than-a-machine-psicologi-per-la-performance-di-mercedes-campione-del-mondo-f1-f12/). Qualsiasi meccanismo attraverso il quale sia disponibile una maggiore quantità di combustibile cerebrale è in grado di minimizzare l’accumulo di adenosina con lo sforzo mentale. Le variabili tradizionalmente ritenute in grado di limitare le performance di endurance, come la frequenza cardiaca, l’accumulo di acido lattico (o lattato) e la funzione neuromuscolare, non sono influenzate dalla fatica mentale. Piuttosto, è stato suggerito che l’impatto negativo dell’affaticamento mentale sulle prestazioni di resistenza è principalmente mediato dal maggiore sforzo percepito. Un modello che descrive l’impatto della fatica mentale nell’endurance è il modello psicobiologico, basato sulla teoria dell’intensità motivazionale, il quale propone che le prestazioni attraverso un test di potenza a carico costante siano determinate principalmente dall’interazione tra sforzo percepito e motivazione potenziale. La motivazione potenziale è il massimo sforzo che una persona è disposta a esercitare per riuscire in un compito. Durante questo tipo di test di resistenza, quando lo sforzo richiesto dal test o gara, viene percepito superiore alla motivazione potenziale, o quando la percezione dello sforzo è così estrema che continuare sembra impossibile, la persona decide consapevolmente di smettere di esercitare o diminuisce il livello di sforzo. Secondo questo modello, qualsiasi fattore che influenza lo sforzo percepito e/o la motivazione potenziale influenza le performance di resistenza, anche quando la capacità fisiologica di svolgere il compito rimane invariata.
Come accennato prima, la fatica mentale risulta associata alle infrazioni. A conferma di queste affermazioni riportiamo alcuni dati derivanti da un nostro studio su un campione di 40 rugbisti di un top team:
- in media venivano dichiarati 10,12 falli a partita;
- solo un atleta, su 40 intervistati, si riteneva falloso;
- 37 atleti su 40 dichiaravano di essere consapevoli nel momento in cui facevano un’infrazione;
- Cause dei falli: quando si chiedono le cause che hanno portato i compagni a commettere l’infrazione emergono prevalentemente stanchezza, aggressività e frustrazione, quando si parla di se stessi si sottolinea stanchezza, aggressività e tattica.
Nel nostro database abbiamo potuto osservare come la fatica mentale sia una delle cause dell’aumento delle infrazioni, soprattutto nelle partite punto a punto dove l’aspetto mentale diventa determinante. Questo proprio perché si può generare frustrazione nel non riuscire a uscire da quella situazione, e la frustrazione aumenta le possibilità di azioni aggressive e scelte sbagliate, e prendere un cartellino rosso può compromettere il risultato finale. Quindi è fondamentale che gli atleti siano consapevoli di questi processi e imparino a conoscere ed ascoltare il proprio corpo.
In conclusione, data l’intensa attività cognitiva presente negli sport e i pochi giorni di riposo, l’inserimento del mental training consentirebbe all’atleta di ottimizzare la gestione delle energie psico-emotive attraverso il corso della stagione agonistica senza correre il rischio di imbattersi in stati di fatica mentale. L’inserimento di sessioni cognitive personalizzate come strumento di allenamento sono necessarie nella pratica dello sport professionistico moderno in cui la gestione delle energie cognitive è di massima importanza ai fini del successo.
È la “testa” che può fare la differenza quando si tratta di raggiungere i propri limiti fisici. In particolare, lo Psicologo dello Sport può aiutare l’atleta a trovare strategie per mantenere alta la motivazione, stimolare un self-talk positivo e migliorare la self-regulation. Inoltre, l’utilizzo di tecniche di respirazione possono essere determinanti nel gestire la fatica, fisica e mentale, poiché la buona gestione dell’ossigeno favorisce il benessere dei muscoli, la velocità e accuratezza del decision making.
#ForzaMentale
#YouNeverPerformAlone
A cura di Dott.ssa Perez Roldan Agustina
Bibliografia:
Marcora S. M., Staiano W., (2010). The limit to exercise tolerance in humans: Mind over muscle? In Arbeitsphysiologie 109, pp. 763-770.
Martin K., Meeusen R., Thompson K. G., Keegan R., Rattray B., (2018). Mental Fatigue Impairs Endurance Performance: A Physiological Explanation. In Sports Medicine
Merlini M., Marcora S., (2015). Gli effetti della fatica mentale sulla prestazione atletica del calciatore. In Sportandanatomy, pp. 108-113.
Sitografia
https://www.news-medical.net/health/What-is-Adenosine-(Italian).aspx