NEWS
Doping: parliamone
In questi giorni i quotidiani di cronaca sportiva sono stati invasi da diverse notizie controverse: il calciatore francese Paul Labile Pogba sarebbe risultato positivo ai metaboliti del testosterone ed è stato sospeso in via cautelare dal Tribunale Nazionale Antidoping, la tennista rumena Simona Halep è stata squalificata per 4 anni a seguito della presunta assunzione del roxadustat e il rugbista sudafricano Elton Jantjies sarebbe risultato positivo all’agente dopante clenbuterolo. Premesso che non è nostro compito commentare o esprimere giudizi su ciò che è successo, succederà o sulle persone coinvolte – in alcun modo – queste notizie, però, ci permettono di affrontare un tema molto importante nel mondo dello sport, che già in precedenza ha scritto diverse pagine della storia dello sport italiano: il doping.
Proprio perché si tratta di un tema molto dibattuto, tutti – nel bene o nel male – abbiamo un’idea su cosa si intenda con il termine doping. Nell’ambito sportivo, dobbiamo fare delle dovute precisazioni per meglio definire il concetto. Il termine doping si riferisce all’utilizzo di una sostanza (lecita o illecita) o di una pratica medica a scopo non terapeutico, con il fine di migliorare la capacità e l’efficienza psico-fisica durante una prestazione sportiva, che sia essa di natura agonistica o non, quindi amatoriale e ricreativa.
L’utilizzo di sostanze dopanti al fine di migliorare le prestazioni è una pratica che risale ai tempi dell’antico Egitto, degli atleti ellenici e dei gladiatori romani. Esistono riferimenti storici risalenti al VI secolo a.C. che comprovano l’utilizzo all’epoca considerato “naturale” di sostanze di derivazione vegetale ed animale. Una delle prime sostanze dopanti ad essere consumate fu il testosterone, ingerito attraverso la consumazione di testicoli animali o umani. Secondo le credenze antiche, questo ormone non avrebbe avuto soltanto proprietà rigeneranti ma anche “dopanti” (con accezione positiva di un termine non ancora coniato), in quanto gli atleti avevano osservato che le proprie prestazioni sportive miglioravano sensibilmente.
In Italia è stato istituito dal CONI il Tribunale Nazionale Antidoping (TNA), regolamentato tramite l’articolo 13 dello Statuto; il TNA dipende dalla NADO (Organizzazione Nazionale Antidoping) Italia, l’organismo dell’ordinamento di giustizia sportiva che si occupa delle violazioni sulle norme sportive antidoping. Questi organi seguono il Codice mondiale antidoping WADA(World Anti Doping Agency), che regolamenta tutte le condotte e le politiche relative al doping. La WADA si occupa, tra le altre mansioni, di stilare una lista in costante aggiornamento di tutte le sostanze e di tutti i metodi proibiti nello sport. Esistono delle differenze e delle distinzioni:
- ci sono sostanze e metodi proibiti in qualsiasi momento dell’anno (e.g.: gli ormoni della crescita o la manipolazione del sangue o di emoderivati),
- sostanze e metodi proibiti durante le competizioni (e.g.: gli stimolanti, i narcotici o i cannabinoidi)
- e, infine, sostanze proibite solo in particolari sport (e.g.: i beta-bloccanti nell’automobilismo o nel golf).
Fra queste sostanze rientrano anche principi attivi comunemente utilizzati tramite prescrizione medica per terapie (e.g.: il cortisone o la codeina) o procedure mediche (e.g.: l’anestesia); pertanto, è possibile richiedere al Medico Sportivo della propria Federazione un’esenzione a scopo terapeutico (TUE – Therapeutic Use Exemption), presentando la documentazione e i certificati necessari.
I controlli antidoping avvengono tramite il prelievo di un campione di urina e/o sangue e circa l’1% dei test effettuati restituisce un risultato positivo; questi controlli possono avvenire sia durante la competizione sia fuori la competizione e sono coinvolti tutti gli atleti a qualsiasi livello di pratica sportiva, i quali vengono selezionati in maniera mirata o casuale. I controlli, quindi, possono svolgersi in qualsiasi periodo dell’anno e in qualsiasi luogo, senza alcun tipo di preavviso. Se si viene selezionati per sottoporsi a un controllo antidoping, non ci si può rifiutare; infatti, il rifiuto può ugualmente comportare una sanzione.
Nonostante siano passati secoli dai primi utilizzi di sostanze dopanti, le motivazioni che spingono gli atleti ad usare tali sostanze sono rimaste invariate nel tempo:
- l’orgoglio e l’onore legati al successo e alle vittorie;
- i benefici di vario tipo che derivano dalla vittoria, quali la fama, il potere, il riconoscimento, o il denaro;
- la possibilità di ottenere un vantaggio contro gli avversari;
- il poter mantenere o migliorare le prestazioni;
- l’affrontare la pressione psicologica o sociale;
- la credenza in una mentalità legata al “vincere a tutti i costi”.
Se secoli fa l’utilizzo di sostanze veniva considerato una pratica comune, vantaggiosa ed accettata a livello sociale, solo negli scorsi decenni sono stati studiati e descritti gli effetti fisiologici, psicologici e burocratici derivanti dall’assunzione di tali sostanze. Quali sarebbero allora le conseguenze legate al loro uso?
Aspetto amministrativo e burocratico | Sia che si tratti di doping consapevole, sia che si tratti di doping inconsapevole, sia che si tratti di contaminazione, le procedure giudiziarie sono impegnative, dispendiose e logoranti, da un punto di vista anche sociale e mediatico.
Conseguenze fisiologiche | Ci sono, poi, una serie di conseguenze fisiche, relative allo stato di salute; infatti, l’utilizzo di sostanze dopanti, come ad esempio le sostanze stupefacenti, può causare danni irreversibili agli organi interni, compromettere il funzionamento cardiaco, il funzionamento nervoso e il funzionamento endocrino, andando ad aumentare il rischio di infortuni – senza considerare l’elevato rischio di sviluppare una dipendenza patologica, con conseguente possibilità di overdose.
Conseguenze psicologiche | Infine, troviamo conseguenze di carattere psicologico. Il rischio di essere scoperti e, conseguentemente, squalificati comporta un cambiamento nello stile di vita dell’atleta. Inevitabilmente aumentano i livelli di stress, ansia e paura, i quali influenzano negativamente gli esiti di una prestazione. Dopo essere stati esposti mediaticamente, gli atleti, che hanno fatto uso di sostanze dopanti o che sono sospettati e ancora in attesa di un processo e di una sentenza, sono sottoposti all’umiliazione pubblica, alla gogna mediatica e all’ostracismo sociale – come tristemente testimoniato dai casi di Alex Schwazer e Marco Pantani. Queste condotte sociali hanno conseguenze molto pesanti sulla psiche di chi le subisce: creano disagio e condizionano la propria percezione di sé stessi; ma potrebbero anche causare depressione, pensieri suicidari e altri sintomi gravi, come l’apatia, la paranoia, l’ansia. Come risposta, questo ostracismo sociale potrebbe fomentare sentimenti di rabbia e furia.
Ma il doping può essere un fattore stressogeno anche per coloro che non vogliono approfittarsi di tali sostanze. Infatti, la lista delle sostanze e delle pratiche proibite è in costante aggiornamento, obbligando atleti e tecnici a una formazione perpetua. Banalmente, è importante sapere quali sostanze possono causare problemi durante i controlli anche se solamente ci si entra occasionalmente in contatto, anche indiretto (e.g.: qualche pomata o il fumo passivo della marijuana) oppure quali sostanze possono causare una squalifica anche se solamente possedute e non consumate.
Esistono poi gli atleti appartenenti al registro del Gruppo Atleti Registrati, selezionati dalla NADO, i quali devono – tra le altre cose – comunicare qualsiasi spostamento (vacanze e impegni personali inclusi), in quanto reperibili per un controllo a campione in qualsiasi momento. Il primo elemento di stress riguarda il doversi ricordare di aggiornare il luogo e l’orario nel quale garantire la propria reperibilità: potrebbe risultare un dettaglio facile da automatizzare, ma è altrettanto vero che per questi atleti non sono ammesse dimenticanze (in quanto incorrerebbero in sanzioni e richiami). Inoltre, questo monitoraggio costante comporta, di fatto, a una rinuncia della propria privacy – un diritto fondamentale di qualsiasi persona.
In conclusione, abbiamo potuto notare come il tema del doping all’interno dello sport (ed in particolare in quello professionistico) sia complesso e ricco di sfaccettature. Fra regolamenti in costante evoluzione, liste di sostanze proibite in revisione periodica e sentenze ribaltate, non sempre ciò che traspare agli occhi dei lettori corrisponde ad una realtà dei fatti lineare, oggettiva ed univoca. Ciononostante, conoscere le fondamenta storiche e legislative dell’utilizzo di sostanze dopanti, così come i fattori psicologici relativi all’assunzione di tali sostanze e le conseguenze psicofisiologiche correlate al loro consumo contribuisce allo sviluppo e/o approfondimento educativo relativo ad una tematica sempre più attuale.
A cura delle Dott.sse Barbara Bruni Cerchier e Veronica Mattarozzi
Dott. Alessandro Bargnani | CEO Cisspat Lab
BIBLIOGRAFIA
Sito ufficiale NADO Italia: https://www.nadoitalia.it/it/
Sito ufficiale CONI: https://www.coni.it/images/documenti/antidoping/normativa/NORME_SPORTIVE_ANTIDOPING.pdf
Ehrnborg, C., & Rosén, T. (2009). The psychology behind doping in sport. Growth hormone & IGF research, 19(4), 285-287.
Fadlih, A. M., Idham, A. F., Nugraha, A. I., & Dongoran, M. F. (2020). Effects of doping on physical and mental health of sports athletes. Enfermeria Clinica, 30, 504-506.
Holt, R. I., Erotokritou-Mulligan, I., & Sönksen, P. H. (2009). The history of doping and growth hormone abuse in sport. Growth Hormone & IGF Research, 19(4), 320-326.
Margulis, S. T. (2003). Privacy as a social issue and behavioral concept. Journal of social issues, 59(2), 243-261.
Martini, F. (2023). Trauma Psicologico: Evento Traumatico, Disturbi Correlati ed EMDR. Psicocultura: https://www.psicocultura.it/trauma-psicologico/