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Zona individuale di funzionamento ottimale – IZOF
- 19 settembre 2022
- Posted by: Elena Graffi Brunoro
- Categoria: Articoli news News dal campo
“Contrariamente a quello che abitualmente crediamo momenti come questi, i momenti migliori delle nostre vite, non sono passivi, ricettivi, rilassanti … I momenti migliori, di norma, occorrono quando il corpo o la mente di una persona sono portati al proprio limite in uno sforzo volontario per realizzare qualcosa di difficile e meritevole”
(Mihaly Csikszentmihalyi)
Essere tanto “attivati” prima di una gara è un segno buono o cattivo?
Per chi lavora con gli atleti è di fondamentale importanza analizzare e comprendere i processi di autoregolazione e di attivazione di ciascun singolo individuo per capire quali risultano efficaci per performare in condizioni di stress.
In psicologia dello sport sono state proposte diverse definizioni sul concetto di attivazione. Cox (1994) la identifica come quello stato fisiologico di allerta o prontezza all’azione, una sorta di “energia psicologica” che nello sport è legata al vigore, alla vitalità e all’intensità.
Per spiegare la relazione tra attivazione, processi di autoregolazione e prestazione, sono state proposte diverse teorie.
Nel 1908 Yerkes e Dodson sviluppano quella che è detta la teoria a U rovesciata. Secondo il loro modello, infatti, la massima prestazione si ha in corrispondenza di un livello medio di attivazione, questo perché se il livello di attivazione è troppo basso c’è una calma eccessiva, con poca energia e svogliatezza, mentre se il livello è troppo alto c’è tensione e agitazione eccessiva, portando di conseguenza a una scarsa concentrazione e possibili errori tecnici. Avere un livello medio di attivazione ci permette di essere in forze, sentirci pronti e concentrati, senza essere troppo tesi. Questa teoria, però, non è stata pensata per sportivi e per questo ha dei limiti. Non spiega, infatti, le differenti prestazioni di atleti che gareggiano nella stessa disciplina e nelle stesse gare.
Negli anni 70 del ‘900, lo psicologo russo Yuri Hanin, dedica la sua attività di ricerca allo studio della relazione tra attivazione e prestazioni sportive d’élite, giungendo alla conclusione che gli atleti in realtà sono molto diversi tra loro. C’è chi ha bisogno di avere alti livelli di attivazione per poter raggiungere il proprio massimale e chi invece preferisce livelli di attivazione un po’ più bassi.
Hanin sostituisce il concetto di alta/bassa attivazione pre-gara con quello di emozioni piacevoli e spiacevoli; questo perché rileva come le emozioni siano connesse all’attivazione. Quando una persona ha emozioni positive anche il livello di attivazione fisiologico risulterà maggiore rispetto al normale e si sentirà più in forze ed energico, al contrario quando le emozioni sono negative l’attivazione risulterà minore e ci sarà maggiore stanchezza e spossamento.
Nel 1978 nasce così il modello IZOF – Individual Zones of Optimal Functioning-, pensato specificatamente per lo sport. Questo modello spiega come ogni atleta sperimenti diverse emozioni prima della gara e come queste abbiano un impatto positivo o negativo sulla prestazione. Ogni atleta ha una gamma diversa di emozioni che gli sono funzionali o disfunzionali all’ottenimento di una buona performance, perché facilitano o limitano la prestazione; anche l’intensità di questi stati emozionali è molto personale e varia in base alla situazione (gara o allenamento) e al momento (prima, durante o dopo la gara/allenamento).
Quando si parla di relazione tra emozioni e performance bisogna tenere conto di tre aspetti: motivazione, aspetti fisici e aspetti cognitivi. Le emozioni influenzano i processi motivazionali, perché ci permettono di dirigere l’azione verso qualcosa che ci piace e distoglierla da qualcosa che non ci piace. Anche il funzionamento fisico è determinato dalle emozioni, perché quest’ultime influenzano il livello di attivazione. Alti livelli di attivazione favoriscono compiti motori semplici, che richiedono potenza (per esempio il sollevamento pesi); al contrario però sono dannosi per compiti in cui il controllo motorio è più “fine” (per esempio la danza). Questo perché alti livelli di attivazione sono generalmente accompagnati ad una riduzione del focus attentivo e questo può essere benefico o deleterio per una performance.
Per gli atleti è quindi fondamentale riconoscere quali emozioni si provano durante la gara e come queste possano influenzare la performance.
Le emozioni che gli atleti provano sono molto diverse a seconda dello sport che praticano, ed è, quindi, molto difficile avere una lista universale.
Hanin ha creato quattro grandi categorie, dove all’interno si possono raggruppare tutti gli stati provati dagli atleti prima, durante e dopo le gare:
- P+: emozioni gradevoli e ottimali per il funzionamento (per esempio: attivo, sicuro di sé, determinato, ispirato, motivato, riposato…);
- N+: sgradevoli e ottimali per il funzionamento (per esempio: arrabbiato, teso, ansioso, nervoso, preoccupato…);
- P-: gradevoli e disfunzionali per il funzionamento (per esempio: rilassato, calmo, spensierato, intrepido…);
- N-: sgradevoli e disfunzionali per il funzionamento (per esempio: scoraggiato, impaurito, inattivo, stanco, dispiaciuto, dubbioso, apatico…)
In generale si è visto come nelle performance considerate buone sono presenti in maggiore intensità le emozioni P+ e N+; mentre nelle gare andate male c’è maggiore intensità di emozioni P- e N-.
Quando si lavora con il modello IZOF è fondamentale riuscire a identificare le zone di funzionamento ottimali e non ottimali del singolo atleta. Per fare ciò si chiede di ricordare la migliore e la peggiore performance, prestando molta attenzione alle emozioni provate prima, durante e dopo la gara. L’atleta è poi invitato a scegliere cinque emozioni positive e cinque negative che meglio catturano il suo stato d’animo durante una buona performance; questo processo viene poi ripetuto tenendo a mente gli stati d’animo durante una performance scadente. Così facendo si otterranno 20 parole che sono collocabili nelle quattro grandi categorie delineate da Hanin. Per ogni parola va poi indentificata l’intensità dando un punteggio da 0 a 11, dove 0 significa per nulla, 10 significa moltissimo e 11 il massimo mai provato. L’atleta otterrà quindi dei grafici che rappresentano l’intensità dei suoi stati ottimali e non ottimali, dai quali verrà ottenuta la zona di funzionamento ottimale e non ottimale aggiungendo +/- 2 punti. Grazie a questi grafici l’atleta avrà un supporto visivo nel capire quali sono gli stati funzionali ad una peak performance.
Il modello IZOF è fondamentale nello sport, perché molto spesso i gesti sono ripetitivi e quindi, le emozioni provate in determinate situazione di gara o allenamento, tenderanno a ripetersi nel tempo. Questo genera degli schemi emozionali stabili nel tempo e sviluppa nell’atleta la convinzione che determinate emozioni siano associate a una determinata prestazione. Questo può essere benefico quando le emozioni che sono associate alle gare andate bene si ripresentano, perché l’atleta affronterà la gara con un mindset positivo.
Ma cosa succede nella mente dell’atleta quando si presentano le emozioni associate a gare andate male? Il rischio è che si possa compromettere la prestazione.
È quindi fondamentale che l’atleta sia a conoscenza di quali sono le sue zone ottimali e non ottimali, perché questo gli permetterà di distinguere i suoi stati funzionali da quelli disfunzionali. Grazie all’allenamento, sia fisico, ma soprattutto mentale, l’atleta sarà poi in grado di entrare negli stati ottimali prima della gara e mantenerli durante tutta la performance.
A cura delle dott.sse Elena Graffi Brunoro e Anna Venturini
Dott. Bargnani Alessandro Ceo CISSPAT LAB
Bibliografia:
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