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Bollenti spiriti in panchina: distress nello sport
In un recente weekend di Serie A, sono stati sventolati ben 6 cartellini rossi. 4 di questi sono stati esibiti verso le panchine, con destinatari illustri.
Josè Mourinho e Luciano Spalletti hanno infiammato il big match tra Roma e Napoli, in cui, se lo spettacolo non è avvenuto in campo, questo è arrivato proprio nelle rispettive aree tecniche. Spalletti, sempre abile a stemperare tensione e nervosismo, beccato ripetutamente dai tifosi “tottiani”, risponde prima tenendo alzato un braccio per 30 secondi verso la sua ex curva, poi rivolgendo un applauso (sincero o ironico, chissà?) nei confronti dell’arbitro Massa, che gli costerà la squalifica. Anche il presidente AIAC, Renzo Ulivieri dà ragione alla terna arbitrale, con un regolamento che “gli arbitri devono rispettare”.
Mourinho invece viene allontanato dal direttore di gara per l’eccessiva foga ed animosità delle sue proteste, finendo così, nei minuti finali del match, a seguire la sfida aggrappato alle balaustre dello stadio Olimpico.
Poche ore più tardi e un po’ più a Nord, si è disputato un altro match caldo, il derby d’Italia, e anche qui si è registrato un certo fermento sulle panchine, soprattutto sponda nerazzurra. Mister Simone Inzaghi non ha accettato di buon grado la decisione arbitrale relativa al rigore assegnato alla Juventus proprio nei minuti finali della partita, sul punteggio di 1 a 0 per i padroni di casa. Il risultato? Proteste vibranti nei confronti del direttore di gara, con tanto di pettorina scagliata a bordo campo: espulsione inevitabile per il tecnico piacentino.
Pochi chilometri di distanza e un’altra espulsione “di lusso” per un abituè: Gian Piero Gasperini, allontanato dal terreno di gioco al calar del match. Il tecnico della Dea, a differenza dei suoi colleghi, non l’ha presa particolarmente bene: “Perché mi devo far sventolare dei cartellini da dei ragazzini? Una cosa assurda.” Questo il commento a caldo del Mister nerazzurro, visibilmente condizionato da nervi a fior di pelle.
“Cosa succede agli allenatori? Sarà lo stress della panchina che Arrigo Sacchi istituzionalizzò dimettendosi dal Parma? O più semplicemente, un campionato più livellato come questo espone i tecnici a una pressione maggiore: soprattutto in una sfida tra concorrenti dirette come Roma o Napoli, Inter o Juventus, partite in cui ogni punto pesa il doppio di quanto vale. Ogni partita, un verdetto: definitivo, fino alla prossima volta. E magari tutto questo carico emotivo esonda oltre gli argini della ragione.” Questa la bella analisi di Repubblica che reintroduce nel mondo dello Sport i concetti di stress e pressione.
La concezione di “stress” affonda le sue radici da teorie di stampo evoluzionistico, le quali sostengono la bontà di questo costrutto nel far “attivare” gli individui in risposta ad una situazione di pericolosità imminente. Risposte “adattive”, solitamente proporzionate al tipo di stimolo che noi tutti siamo chiamati a fronteggiare. Un’attivazione dunque che consente agli esseri umani di affrontare una contingenza di pericolosità, e di poter così adottare un comportamento di tipo “fight or flight” (attacco o fuga): poter disporre della prontezza necessaria per fronteggiare quella situazione, o per evitarla in modo fulmineo ed efficace. In questi casi, lo stress subentra in condizioni situazionali, momentanee, difensive: tutto ciò rientra nella cosiddetta “Sindrome Generale di Adattamento“, utile per riportare l’organismo ad una condizione originale di omeostasi, pregiudicata da stressors nocivi.
Un arbitro particolarmente oppositivo, una decisione tanto opinabile, quanto importante ai fini del match, rappresentano degli stressors esterni, che si frappongono tra la società sportiva ed il raggiungimento del risultato sperato, ed atleti ed allenatori ne fanno le spese.
Cambiamenti a livello fisiologico come l’aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, della pressione arteriosa, della tensione muscolare, ma anche mutamenti a livello cognitivo come la perdita di attenzione e concentrazione, la difficoltà a ritrovare la calma o di riuscire a riattivarsi prima di una gara, l’assenza di pensieri positivi, una percezione corporea distopica, sono tutti sintomi di “distress“, ovvero quella tipologia di stress disfunzionale per gli individui.
La presenza di stress dipende strettamente dal rilascio di un particolare ormone, il cortisolo, la cui funzione primaria è legata all’innalzamento dei livelli di glucosio nel sangue: in questo modo l’organismo ha a disposizione le energie necessarie per fronteggiare l’evento stressante. Condizioni di stress durature nel tempo, e di conseguenza, livelli di cortisolo costantemente elevati, rappresentano un pericolo per il nostro organismo, in quanto possono comportare: un eccessivo indice glicemico nel sangue, il rallentamento dell’attività tiroidea, un aumento della pressione cardiaca, perdita di massa muscolare ed osteoporosi.
Come spiegare perciò tutti questi comportamenti tanto istintivi quanto autolesivi da parte degli allenatori citati in apertura? Se i livelli di stress personale, dettati da stravolgimenti sportivi al di fuori del proprio controllo, superano una certa soglia, gli schemi personali “saltano” e il comportamento ricade comprensibilmente nell’impulsività e nell’irrazionalità. La “soglia” in questione ha connotati marcatamente personali, e dipende infatti da fattori soggettivi e dalle risorse di coping (ovvero le modalità più o meno funzionali con cui gli esseri umani riescono a fronteggiare le situazioni stressanti) che ogni individuo possiede. Quando vediamo reazioni come quelle precedentemente descritte, probabilmente siamo di fronte a risposte dettate da eventi particolarmente significativi per i soggetti protagonisti: vecchi dissapori con la tifoseria romana, precedenti esperienze negative con decisioni da parte del VAR, cattivi rapporti intercorsi con arbitri giovani e alle prime esperienze ad alti livelli.. Sono tutte supposizioni riguardo a che cosa possa aver fatto traboccare il celebre vaso degli allenatori qui citati.
E allora, come contrastare questa tipologia di attivazione così negativa e dannosa per atleti e appassionati di prestazione? Sicuramente una strada è quella relativa alle tecniche di rilassamento: focalizzare l’attenzione sulle cose strettamente necessarie ai fini della prestazione, permette di lasciare sullo sfondo tutti gli elementi distraenti che rappresentano fonti di stress disfunzionali. Con buoni livelli di calma, anche il clima nello spogliatoio sarà più disteso, così come i livelli di coesione e la conseguente coordinazione e condivisione energetica tra i membri di squadra e staff.
Fare ricorso a tecniche di Training Autogeno, di rilassamento muscolare progressivo o di MBSR (Mindfulness based-stress reduction), sono ottime contromosse per contrastare il distress. Per i “nostri” allenatori, un particolare esercizio denominato “controllare il controllabile” rappresenterebbe un passaggio importante per riuscire a distinguere quali aspetti possono essere, per l’appunto, controllati da loro stessi durante il match e quali esulano dal dominio personale, al fine di gestire al meglio le proprie risorse in risposta a situazioni particolarmente stressanti e improvvise.
Andrio Ferrari, Giuseppe Vercelli, La psicologia dello sport in pratica, Manfrini Edizioni, 2019.
A cura del Dott. Gabriele Spinardi
Dott. Bargnani Alessandro, Ceo Psicologi dello Sport Italia