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L’ipnosi nella pratica sportiva
- 15 agosto 2020
- Posted by: adriano.grazioli
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A me gli occhi…
Quando pensiamo al concetto di ipnosi, spesso, tendiamo ad associarlo più alla figura di un borseggiatore che vuole farci il portafoglio piuttosto che ad una pratica di preparazione mentale o di cura.
Pensiamo anche come, nella storia, uno dei primi individui conosciuti che utilizzò l’ipnosi fosse Charcot con le pazienti isteriche. Anche se ciò non è del tutto vero.
L’ipnosi come cura fu utilizzata già nel 1915 da Myers (Myers, 1915) in seguito agli scontri avvenuti nella prima guerra mondiale; egli era di nazionalità inglese e sulla Gazette “The Lancet” fu pubblicato un resoconto dei suoi studi e dei suoi metodi di cura tramite il trattamento ipnotico.
I suoi pazienti era tutti militi affetti da mutismo, paralisi e PTSD (all’epoca chiamato shellshock) e grazie ai suoi sforzi in abito neurocognitivo molti poterono riprendersi dal trauma subito.
Ma l’ipnosi non è solo questo.
Piuttosto, essa può essere definita come uno stato di coscienza diverso dallo stato di veglia comune (Weitzenhoffer, 2000). Quando si è nello stato ipnotico l’ipnotista può fornire suggestioni al soggetto per produrre dei cambiamenti nelle percezioni, nelle emozioni, nei pensieri in modo da facilitare il cambiamento a lungo termine di schemi di comportamento. (Heap & Aravind, 2002) (https://www.stateofmind.it/2016/06/ipnosi-nello-sport/).
Ecco come tale stato, che spesso è stato avvicinato ad una condizione di estrema concertazione, come lo state of flow negli atleti o la totale fluidità di pensiero presente nella meditazione tradizionale.
Questa condizione è ovviamente naturale e del tutto normale per il corpo e la mente, pensiamo a quando salendo in macchina facciamo il percorso fino a casa e d’un tratto sobbalziamo, inconsapevoli di come ci siamo arrivati. Ecco, questo è un tipico esempio di stato di trance in cui tutto avviene all’esterno senza che l’interno se ne renda conto. Il concetto più importante è proprio questo, l’attenzione passa dall’esterno all’interno, permettendoci di focalizzarci maggiormente sui nostri stati emotivi e sui nostri pensieri. (A. Calderoni; G. Regaldo, “Ipnomed” 2019).
…Continua a guardare il pendolo…
Come si può entrare in uno stato ipnotico? La risposta è davvero molto semplice, tramite una stimolazione verbale, condotta dall’ipnotista, il soggetto inizia ad aumentare la propria consapevolezza interiore (come ad esempio il suo respiro, il battito cardiaco, il fluire dei propri pensieri) e cessa di analizzare costantemente l’ambiente esterno. Gli occhi sono l’espressione finale del sistema nervoso centrale e tramite la stimolazione anche di questa parte sensoriale è possibile iniziare il passaggio dallo stato di veglia a quello di trance.
Per dare un esempio concreto, l’ipnotista fa seguire con lo sguardo un punto in costante movimento, come un pendolo ad esempio, e comincia a ratificare tutti i cambiamenti fisici visibili del soggetto (quanto profondo è il suo respiro, se deglutisce ecc.)
Di seguito permette al proprio paziente di chiudere gli occhi, che in seguito alle diverse stimolazioni ricevute si fanno “più pesanti”. Da qui l’individuo è in una fase di rilassamento superiore a quanto può sperimentare durante la veglia, settando il punto di partenza per entrare in una fase di reale trance. Grazie a questo processo di interiorizzazione è possibile far simulare al paziente situazioni e immagini sulle quale poi condurre terapie e processi di miglioramento personale.
Le potenzialità di tale pratica sono conosciute e usate in ambito clinico da più di cento anni e permettono in ogni caso di migliorare la qualità della vita degli individui, dallo sportivo che vuole accedere a prestazioni superiori alla cura di fobie.
…quando aprirai gli occhi sarai molto contento e perfomerai meglio.
Sotto il profilo sportivo sono stati scoperti enormi miglioramenti sul piano delle prestazioni. Come già visto nell’articolo “Simulazione e prestazione” (https://www.psicologidellosport.it/esports-tra-simulazione-e-prestazione-e-psysport/) simulare ripercorrendo le azioni impiegate lo svolgimento di un task permette di ottenere dei risultati superiori.
Ecco perché molti atleti negli ultimi anni fanno capo a professionisti per avere un incremento delle proprie performances tramite l’uso di questa pratica.
L’ ipnosi nello sport permette anche di aumentare i livelli di autoefficacia, definita come la fiducia che l’atleta ha nelle proprie capacità. La letteratura legata alla psicologia dello sport ha dimostrato che tanto più è alta l’autoefficacia, tanto migliore sarà la performance dell’atleta sul terreno di gara. È talmente determinante da essere considerata una delle singole variabili più importanti tra quelle studiate dalla psicologia sportiva (Feltz, Short, & Sullivan, 2008; Moritz, Feltz, Fahrbach, & Mack, 2000).
In uno studio, volto ad indagare la relazione prestazione/ipnosi, che si è concentrato su un campione di giocatori di pallacanestro, i ricercatori hanno misurato la precisione dei tiri (ed i punti totalizzati) con e senza preparazione ipnotica. I risultati hanno mostrato, in seguito ai test effettuati, un miglioramento nel tono umorale, più rilassato, e punteggi migliori in termini pratici oltre ad una maggiore coesione allo stato di flow, dunque di massima concertazione (Pates & Palmi, 2002).
In conclusione, l’ipnosi può essere davvero una strategia innovativa nel campo sportivo per tutti quegli atleti che cercano costantemente di migliorarsi per raggiungere l’apice delle proprie prestazioni.
A cura del dott. Grazioli Adriano
Dove potete trovare molto altro!:
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Biografia:
-Weitzenhoffer, A. M. (2000). The Practice of Hypnotism. New York: John Wiley & Sons
-Pates, J., & Palmi, J. (2002). The effects of hypnosis of flow states and performance. Journal of Excellence, 6, 48–62.
-Feltz, D. L., Short, S. E., & Sullivan, P. J. (2008). Self-Efficacy in sport. Champaign, IL: Human Kinetics.
Sitografia:
-https://www.stateofmind.it/2016/06/ipnosi-nello-sport/
-Myers C.S. (1915), Contributions to the study of shell shock, I, The Lancet, Feb 13th, 316. Myers C.S. (1916a), Contributions to the study of shell shock, II, The Lancet, Jan 8th, 68. MYERS C.S. (1916b)